La presenza di insediamenti israeliani in Cisgiordania é un fenomeno poco conosciuto all’estero ma tristemente famoso in Palestina. In genere l’opinione pubblica internazionale non ha ben chiara la funzione di questi villaggi nel cuore dei territori all’interno della linea verde, cioé della zona che era stata destinata dagli accordi internazionali alla costruzione di uno stato palestinese prima della guerra del 1967. La massiccia costruzione di colonie ha inizio dopo la guerra dei sei giorni nel 1967, a seguito della quale Israele occupa la Cisgiordania e Gaza, e si concentra tra gli anni Settanta e Ottanta. Le colonie sono illegali secondo il diritto internazionale. La loro costruzione viola la quarta Convenzione di Ginevra (articolo 49) che vieta il trasferimento di cittadini dal proprio territorio ad un territorio occupato a seguito di un conflitto; questa pratica viola anche i Regolamenti dell’Aja, stabiliti nel 1910, che impediscono alla potenza occupante di intraprendere cambiamenti definitivi sui territori che occupano.
Gli insediamenti vengono costuiti espropriando terreni e demolendo case di proprietá palestinese. Le strategie con cui il governo israeliano cerca di dare una parvenza legale a pratiche che sono completamente fuorilegge vanno dal ricorso alla confisca di terreni per scopi militari, alla designazione della terra come terra statale, fino al considerare la terra come proprietá di assente (palestinesi che vivono all’estero per esempio) e l’esproprio per necesitá pubbliche. Una volta confiscata la terra destinanta all’insediamento ai palestinesi non é piú consentito l’accesso e questo significa la perdita di importanti risorse economiche o di beni quali case e terreni.
Con il tempo le colonie sono state riconosciute parte dello stato di Israele, benché la Cisgiordania non sia territorio israeliano. Questo ha determinato uno status differente per le persone che abitano sullo stesso territorio, dando vita ad una discriminazione basata sulla cittadinanza. I coloni infatti sono cittadini di Israele e godono dei diritti garantiti loro dallo stato israeliano e rispondono ad un ordine giudiziario basato sul diritto civile. I palestinesi non sono protetti da alcun tipo di legge, fatta eccezione per quella militare e la legge giordana che ancora vige sui territori (la Giordania occupó i territori palestinesi nel 1948 e li restituí nel 1950), entrambe utilizzate in ottica punitiva.
Il controllo israeliano non si concentra solo sulle colonie in quanto tali. Tutti gli insediamenti sono infatti circondati da un anello di terra, che viene dichiarata “Zona Militare Chiusa” al fine di proteggere i coloni e al quale l’accesso ai palestinesi é vietato. Le colonie sono anche collegate tra loro da strade costruite ex novo sulle terre palestinesi (chiamate in gergo by-pass roads) o sottratte ai palestinesi, come la strada N 60 che collega la Cisgiorania da nord a sud e ai cui palestinesi é negato l’accesso, costringendoli a percorrere strade secondarie e di campagna, con grave danno per la loro mobilitá e le loro attivitá economiche e commerciali.
La presenza di colonie israeliane determina un clima di segregazione e umiliazione che diventa il fulcro della violenza, dell’alienazione e delle difficoltá di movimento per tutti i palestinesi, ma anche della mancata crescita economica, e tutto questo avviene in completa violazione del diritto internazionale.
La strategia che sta alla base di questa politica di espropriazione delle terre e della costruzione di nuovi insediamenti é quella di rendere l’occupazione permanente e di impedire nei fatti la creazione di uno stato palestinese. Infatti, a seguito della costruzione degli insediamenti (costruzine che ancora continua e contro la quale i potenti si stanno solo ora schierando, sulla scia di Obama), delle strade e del muro ció che resta della terra che un tempo doveva essere destinata allo stato palestinese é poco piú del venti percento, parcellizzato in piccoli villaggi e cittá separati tra loro, senza continuitá territoriale e senza risorse (le risorse minerarie, idriche e agricole sono in mano israeliana. Un esempio su tutti: gli abitanti del centro di Hebron hanno un consumo giornaliero massimo di acqua di 5 litri al giorno pro capite, mentre gli abitanti degli insediamenti intorno e dentro la cittá consumano piú di 165 litri di acqua al giorno pro capite. Senza considerare che l’Autoritá Palestinese e le municipalitá sono costrette a comprare la loro acqua dalle autoritá israeliane ad un prezzo cinque volte piú alto rispetto a quello pagato dai cittadini israeliani), il che rende le prospettive della possibiliá per i palestinesi di avere un giorno uno stato pressocché nulle.
Gli insediamenti peró non sono tutti uguali. Alcuni, la maggiorparte, rispondono alla strategia politica di impedire la creazione di uno stato palestinese (senza alcun dubbio questa strategia trionfa al momento in quanto, alla luce dei fatti, la presenza massiccia di colonie ha determinato la fine della possibilitá per i palestinesi di avere uno stato). L’ottanta per cento degli abitanti degli insediamenti vi vive in quanto riceve sussidi statali in temini fiscali e agevolazioni nell’acquisto di case e terreni. Molti cittadini israeliani si trasferiscono nelle colonie in vista di una prospettiva politica migliore di quella che potrebbero avere in Israele. Altri insediamenti, abitati pevalentemente da ebrei ultraortodossi e radicali, sono ispirati da una dottrina religiosa estremista che si nutre dell’idea che Israele appartiene agli ebrei e che tutti gli arabi devono essere cacciati, in nome di una giudaizzazione dello stato. E’ questo il caso degli insediamenti che soffocano Hebron, la cittá piú a sud della Cisgiordania.
Welcome to Hebron
Hebron é la cittá in cui vivo e lavoro, é la cittá dove vivono i miei amici e dove trascorro la maggior parte del mio tempo, é la mia casa qui in Palestina. Ma Hebron é anche una cittá fantasma, distrutta dall’interno, assediata da cinque insediamenti che ne soffocano l’economia, la libertá di movimento, la vita sociale dei palestinesi e di tutti coloro che vivono qui, rendendo ció che era uno dei pincipali centri economici e commerciali della Cisgiordania il posto piú vulnerabile della Palestina.
Hebron é strangolata dalla presenza di quattro insediamenti nel centro della cittá, il che la rende un posto unico nella sua singolare tristezza, essendo appunto la sola cittá della Cisgiordania ad avere i coloni nel suo centro storico. Questa presenza é determinata dal fatto che Hebron é una cittá sacra per ebrei e musulmani, essendo il patriarca Abramo seppellito qui insieme alla sua famiglia. Questa sacralitá ha spinto questi fanatici fautori della giudaizzazione della Palestina ad installarsi nel centro di questa popolosa cittá palestinese (Hebron é la cittá piú grande della Cisgiordania).
Tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Ottanta 500 coloni hanno occupato il centro storico della cittá, impossessandosi di case e negozi di proprietá palestinese. Nonostante la chiara illegalitá di quest azione, lo stato di Israele ha riconosciuto tutti gli insediamenti costruiti in quest’area, rendendo legale la loro presenza. Il senso di impunitá per i coloni che ne scaturisce é chiaro quando si cammina per le vie della cittá vecchia. Check point, barriere e filo spinato squarciano un centro storico bellissimo, scavato tutto nella roccia, che si articola tra vicoli, gallerie e sottopassi e che non avrebbe niente da invidiare a quello di Gerusalemme, se non fosse per la presenza dei coloni. Non é difficile imbattersi in ragazzini e adolescenti arroganti che insultano i passanti arabi e internazionali, colpevoli di sostenere la causa palestinese. E’ anche probabile che non si limitino solo agli insulti, ma che inizino a tirare pietre e oggetti, costringendo la gente a rifugiarsi nei pochi negozi aperti o sotto le volte dei vicoli. Nelle torride giornate estive, quando l’acqua, giá cosí rara e bene prezioso soprattutto nel centro storico,diventa una risorsa piú che essenziale, i coloni rovesciano le cisterne che ogni famiglia ha sul tetto, costringendole a affrontare spese significtive per rimpiazzare le cisterne danneggiate o a restare senza acqua per i giorni a venire. Tutto questo avviene sotto gli occhi complici dei soldati, che dovrebbero intevenire per proteggere i palestinesi dagli attacchi quotidiani dei coloni, ma che in realtá li proteggono e a volte li sostengono nelle violenze contro i residenti.
Andare in centro cittá significa anche rendersi conto della violenza spirituale e intellettuale di queste persone. Sulle porte delle case e sulle serrande dei negozi campeggiano stelle di Davide e slogan che incoraggiano alla pulizia etnica della Palestina, metodi che tristemente ricordano quelli usati dai nazisti probabilmente contro i genitori e i nonni di queste persone. E’ disarmante rendersi conto che dopo tutto la sotia non insegni niente.
Hebron muore ogni giorno, soffocata da questo cancro tremendo che é l’occupazione. Alla fine degli anni Sessanta 7500 persone vivevano nel centro storico, oggi sono meno di 1500. Quando cala il solo Hebron si spegne, e diventa uno dei posti piú pericolosi della Cisgiordania, in quanto la sicurezza non é garantita da nessuno. Hebron é diventata ritrovo di delinquenti di ogni genere, dove la sicurezza non é garantita né dalla polizia palestinese che non puó entrarvi (il centro cittá, chiamato H2, é sotto esclusivo contollo delle autoritá israeliane) né dall’esercito israeliano che trae vantaggio dalla situazione, che rende Hebron un posto ancora piú debole e facilmente controllabile.
Tel Rumeida
Uno degli insediamenti di Hebron si chiama Tel Rumeida. Tel Rumeida é una bellissima collina da cui si gode del panorama di tutta la cittá vecchia. Al tramonto la cittá e la Moschea di Abramo, viste da qui, sono bellissime e per un attimo dimentichi dove ti trovi. Basta volgere lo sguardo peró per ritornare alla realtá e vedere le case dei coloni separate dal resto dell’ambiente da filo spinato e dal loro fanatismo insanabile. Tel Rumeida, esattamente come gli altri insediamenti, vive ogni giorno la presenza problematico di coloni violenti la cui ideologia é quella di occupare quante piú case possibile e costringere gli “arabi” ad andarsene. Ma Tel Rumeida é anche testimone di una vittoria, di una storia a lieto fine, é la storia del Media Center di Tel Rumeida.
Il Media Centre si trova in una casa che era stata precedentemente occupata dall’esercito israeliano.Come ho giá accennato in precedenza, una delle strategie usate per la costruzione e l’espanzione delle colonie é quella di dichiarare l’area o l’abitazione di interesse strategico e militare. Dopo qualche tempo in genere i soldati vanno via e lasciano subentrare i coloni. Nel 2006, la casa occupata dai militari viene abbandonata. Un gruppo di residenti palestinesi si rende conto che i coloni stavano preparando la casa in vista del loro ingresso. Da quel momento questo gruppo, sostenuto da attivisti israeliani e internazionali, hanno cominciato a presidiare la casa per evitare che fosse occupata. Uno degli attivisti palestinesi ottiene dal proprietario dell’abitazione, un palestinese residente a Gerusalemme, l’intestazione della casa. Da questo momento Issa, questo é il nome di questo ragazzo palestinese sorridente e combattivo, diventa il legale proprietario della casa. L’esercito all’inizio gli impedisce di entrare, ma il gruppo continua a presidiare per giorni la casa. Alla fine anche l’äarroganza della forza deve arrendersi di fronte alla legge: i documenti sono regolari e non puó essere impedito al legittimo proprietario di entrare in casa sua.
Il Media Centre di Tel Rumeida é ora un centro di aggregazione, dove la gente si ritrova per stare insieme e spezzare la volontá di esercito e coloni che mirano a rendere le condizioni di vita dei palestinesi disumane. Qui si insegnano le lingue, si impara a proteggersi dalle aggressioni con mezzi non violenti (per esempio ogni residente ha in dotazione una videocamera con cui vengono filmate le violenze e le aggressioni), si proiettano film e documentari, si sostengono psicologicamente i bambini e le famiglie, ma soprattutto si vive insieme e si condivide un’esperienza. A Tel Rumedia si ride molto, e questo é il piú bel modo di resistere.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento